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L’economia in una lezione di Hazlitt, by Marco Respinti

Correva il 1946, l’Europa era piagata dalle distruzioni della Seconda guerra mondiale (1939-1945), gli Stati Uniterano in ginocchio per lo sciagurato statalismo imposto loro dall’interminabile presidenza di Franklin D. Roosevelt (1882-1945) e il resto del mondo si dibatteva tra guai antichi e nuove schiavitù, attorcigliandosi sempre più nelle nefaste conseguenza che la lunga «guerra civile europea» aveva disseminato per l’intero pianeta e sprofondando nell’oramai apparentemente irrefrenabile avanzare del totalitarismo comunista.

Il 1946 che in pratica spezza in due il Novecento ha insomma simboleggiato il centro stesso del secolo terribile, del «secolo delle idee assassine» (come lo ha definito Robert Conquest), del secolo davvero sin troppo lungo, altro che breve. Non c’era che da risalire, certo; ma allora, come sempre, la cosa è più facile a dirsi che a farsi. Qualcosa iniziò però a muoversi attorno a diverse figure di genio, una delle quali è l’indimenticabile Henry Hazlitt (1894-1993), statunitense. Economista, filosofo, critico letterario, uomo di solida formazione classica (dedicò un’opera anche al pensiero stoico), prolifico autore di numerosi volumi e saggi, il suo nome è inscindibile legato a quello di un libro: Economics in One Lesson, un manabile di buon senso intellettuale e pratico per difendere la libertà dai molti faraoni che nella storia mirano a fare scempio dell’anima umana.

Pubblicato proprio in quell’emblematico 1946. Titolo stringatissimo – anticipatore felice degli attuali, e spesso vuoti, «101», «Mille e un modi di….» o «100 risposte per…» –, quell’opera di Hazlitt si legge in un soffio, si capisce in un attimo e non si scorda mai. Sul web la si trova ovunque, in mille vesti, sempre disponibile gratis. Ora ve n’è, a decenni di distanza, anche un’utile traduzione italiana, L’economia in una lezione. Capire i fondamenti della scienza economica (IBL Libri, Torino 2012). Finalmente è stato colmato un buco imperdonabile (mentre in lingua spagnola lo è sin dal 1947, allorché l’Editorial Kraft, di Buenos Aires, ne predispose subito una traduzione).

Si dice che l’originale in lingua inglese abbia venduto più di un milione di copie negli Stati Uniti. Opera di alta divulgazione, L’economia in una lezione è uno di quei titoli che non morirà mai, che ha fatto epoca (e un’epoca che non tramonta), che ha cambiato la storia. Vero. Ma molta della sua straordinaria importanza è legata ai tempi e al modo in cui esso nacque. Ricordavo che dopo la pace armata seguita alla conclusione sanguinosa del secondo conflitto mondiale, prima ancora che la Cortina di ferro calasse all’Est con il famoso discorso di Winston Churchill (1874-1965), la riscossa dell’Occidente ferito ma non del tutto ancora sconfitto fu capace di generare, relativamente in fretta, molte e importanti reazioni costruttive. Fra queste vi fu certamente la nascita del moderno movimento conservatore statunitense. Bene inteso, all’epoca tutto esso era tranne che un «movimento», ma i semi gravidi di futuro erano già stati ben piantati. Comparvero dunque i primi intellettuali «non allineati», i primi uomini di cultura decisi a non arrendersi al cumulo di macerie, le prime, timide e povere organizzazioni della cosiddetta «società civile», qualche raro buon editore, certi libri ottimi e persino qualche periodico.

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Does School Choice Reduce Crime?, by David J. Deming.

Evaluations of school-reform measures typically focus on the outcomes that are most easily quantified, namely, test scores, as a proxy for long-term societal benefit. But there are at least two reasons we might want to look beyond test scores and other school-based outcome measures. First, there is evidence that schools facing accountability pressures may be able to raise student test scores through methods that do not translate into long-term improvements in skills or educational attainment, by engaging in test-prep activities or by cheating, for example. Second, even in the absence of such behaviors, the correlation between test-score gains and improvements in long-term outcomes has not been conclusively established. Studies of early-childhood and school-age interventions often find long-term impacts on such outcomes as educational attainment, earnings, and criminal activity despite nonexistence or “fade-out” of test-score gains. In other words, programs can yield long-term benefits without raising test scores, and test-score gains are no guarantee that impacts will persist over time.

In this study, . Many of the schools chosen by the students were “better” on traditional indicators, such as student test scores and teacher characteristics. All of them, however, were preferred by the applicant over the default option. The analysis therefore sheds light on whether efforts to expand school choice can be an effective crime-prevention strategy, particularly when disadvantaged students can gain access to “better” schools.

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