Robert Bork o dell’irriducibile fedeltà al vero, by Marco Respinti

Robert Bork è morto il 19 dicembre all’età di 85 anni ad Arlington, in Virginia, ma alla memoria di chi ha amore per la verità non mancherà mai.
Robert Heron Bork era nato il 1° marzo 1927 a Pittsburgh, in Pennsylvania, è stato giudice combattivo ed eminente giusperito, e i suoi nemici lo hanno odiato al punto di coniare per lui un neologismo, il verbo “to be borked”, ovvero vedersi precludere incarichi di prestigio per via mediatico-democratica. Candidato a diventare giudice della Corte Suprema, Bork fu infatti travolto dall’uragano di contumelie scatenatogli addosso dalla magistratura politicizzata a sinistra, dalla Sinistra politica e della stampa “progresssita” e “illuminata”.Per carità, avvenne tutto secondo le regole democratiche, ma è proprio in casi come questi che le regole da sole mostrano di non essere affatto sufficienti e la democrazia senza orientamenti morali sbanda.

Bork aveva infatti un grande, enorme difetto. Credeva in maniera tetragona nel diritto alla vita, nella famiglia monogamica eterosessuale e nella Bibbia piuttosto che a Charles Darwin, e non perdeva occasione per dirlo; ovvero, da uomo di legge e di cultura qual era, per mettere in guardia gli americani dai guasti che il relativismo sempre più imperante produce. Orbene, tutto ciò negli Stati Uniti fa di una persona sia un conservatore sia il bersaglio preferito dei cosiddetti liberal.

Tutto iniziò il 1° luglio 1987, quando l’allora presidente Ronald Reagan annunciò la decisione di proporre Bork alla suprema magistratura giuridica del Paese. All’epoca Bork era (sempre per nomina reaganiana) giudice della Corte d’Appello del Distretto di Columbia, dopo essere stato a lungo e onoratamente docente di Diritto nell’Università Yale, specializzato in norme antitrust, e avere avuto come studenti una pletora di nomi famosi, fra cui Bill e Hillary Clinton.
Reagan aveva però già commesso due “delitti” imperdonabili agli occhi dei liberal: nel 1986 aveva proposto William Rehnquist come presidente della Corte Suprema e il giudice Antonin Scalia come nuovo membro della stessa assise. Rehnquist era colui che nel 1973 aveva firmato il parere di minoranza contro la sentenza che, a chiusura del famoso, e famigerato, e basato su una frottola, caso “Roe v. Wade”, ribaltò improvvisamente, con un vero e proprio colpo di mano, le leggi a favore della vita umana nascente allora vigenti in numerosi Stati dell’Unione americana legalizzando l’aborto ovunque. Scalia era un altro noto campione del conservatorismo culturale e sociale, e per di più un cattolico integerrimo. Per la Commissione sulla Giustizia del Senato federale di Washington, l’organismo incaricato di vagliare le qualità professionali dei giudici indicati dalla Casa Bianca, permettere a Reagan d’inserire in quella formidabile squadra pure Bork fu troppo. E l’inferno si scatenò.

Fu Ted Kennedy ad appiccare il fuoco. Erano infatti trascorsi solo una manciata di minuti dall’annuncio della decisione di Reagan che il senatore Democratico del Massachussetts Ted Kennedy pronunciò un discorso inverecondo e strabiliante in cui affermò che con Bork alla Corte Suprema le donne statunitensi sarebbero state costrette ad abortire clandestinamente nei vicoli bui, che per le persone di colore si sarebbe riaperta la stagione della segregazione razziale, che i cittadini avrebbero dovuto guardarsi le spalle dagli agenti della “gendarmeria morale” e che tutti quanti avrebbero dovuto combattere quotidianamente contro una pervicace censura del “libero pensiero” degna di uno Stato totalitario.

Il discorso di Kennedy suonò la sveglia, e tanto i media quanto gli avversari politici di Bork scesero immediatamente in campo. La Commissione Giustizia del Senato fu subito lo strumento opportuno per fare la guerra a Bork, ma soprattutto a ciò che Bork (come Reagan) rappresentava in termini culturali e giuridici. La lotta fu senza quartiere e senza precedenti. Già non si poteva tollerare che qualcuno nutrisse la fede nei “princìpi non negoziabili” che animava graniticamente Bork, ma che poi questo qualcuno diventasse pure membro dell’organismo preposto a vegliare sulla costituzionalità delle leggi americane, e per giunta con la benedizione palese di un presidente “reazionario” e connivente, era, per un certo mondo, inconcepibile.

 

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