Russell Kirk on T.S. Eliot’s “The Waste Land”, by Robert M. Woods

In all of our Great Books based programs we exalt the primary readings, unmediated by commentaries, critical theories, jargon ladened treatises, and a mountain of secondary works explaining what a given author meant within his work.  What we generally do is encourage the students to jump right in and start swimming.  By asking interpretive questions and applying the Socratic method of clarifying and qualifying, the student has better understanding of the reading.  Of course, we all know that sometimes answers to our questions about a reading are not to be found within the work and sometimes we need additional outside, background materials to assist a fuller reading.  Typically, our students read introductions at the end and not the beginning.

All this is stated to provide the exceptions.  Sometimes there are those writings about the Great Books that offer such assistance and are so rich with insight that the secondary work in conversation with the primary work comes a work well worth reading and analysis.  One could immediately think of T.S. Eliot’s reflections on Dante’s Divine Comedy.  Another would be Russell Kirk’s ruminations on T.S. Eliot’s The Waste Land.

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Pierre Gaxotte, uno studioso contro il giacobinismo, di Marco Respinti.

Benemeritamente, la milanese Mondadori ha ristampato La rivoluzione francese. Dalla presa della Bastiglia all’avvento di Napoleone, di Pierre Gaxotte.

Nato il 19 novembre 1895 a Revigny-sur-Ornain, nel dipartimento della Meuse, nella Francia nordorientale, Pierre Gaxotte entra à l’École normale supérieure nel 1917. Nel 1920 vi consegue l’agrégation in Storia che, nel sistema scolastico francese, consente l’accesso alla docenza nel settore pubblico, mentre contemporaneamente ottiene una licenza in Scienze. Professore di liceo, stringe amicizia con Joseph Arthème Fayard (1866-1936), figlio del fondatore dell’omonima e prestigiosa casa editrice francese – Joseph-François Arthème Fayad (1836-1895) -, attraverso il quale viene presentato a Charles Maurras (1868-1952), il noto intellettuale della Destra monarchica e fondatore dell’Action française, di cui diventerà segretario.

Nel 1894, infatti, Fayard figlio, subentrato al padre nella direzione della maison, sposta gl’interessi della casa editrice dalla letteratura popolare ad autori decisamente conservatori come Maurice Barrès (1862-1923) e cattolici quali Paul Bourget (1852 -1935). Accanto a ciò, Fayard si lancia pure nell’affascinante mondo del feuilleton – un genere all’epoca popolarissimo, anzi pop -, monopolizzandone presto il mercato grazie al successo dei 32 romanzi della serie Fantômas, personaggio ideato nel 1911 da Marcel Allain (1885-1969) e da Pierre Souvestre (1874-1914), al centro pure di altri 11 romanzi composti poi dal solo Allain oramai “vedovo” di Souvestre. A Fayard si deve peraltro anche il lancio mondiale delle opere del prolifico scrittore belga Georges Simenon (1903-1989), padre del commissario Maigret.
Ebbene, alla ricerca costante di nuovi spazi editoriali e sempre al centro di coraggiose operazioni culturali, nel 1920 Fayard crea la collana “Grandes Études historiques” e ne affida la direzione a Gaxotte.

Fayard non è un editore neutro. Ha la netta percezione che la narrazione della storia – scritta sempre dai vincitori – e la produzione culturale – appannaggio di chi detiene il potere – necessiti, soprattutto del suo Paese, la Francia, emendamenti fondamentali rispetto ai cliché dominanti in cui trionfa la vulgata repubblicano-laicista e lo spirito massonico liberal-socialisteggiante. Per questo mette la propria casa editrice al servizio di una imponente opera revisionista che, coscientemente, concede ampi spazi all’ambiente umano, politico e culturale in quel contesto maggiormente dotato degli strumenti intellettuali adatti a rompere il monopolio del “pensiero unico”: la Destra, di cui proprio Gaxotte è un esponente noto.

 

DENTRO UN VESPAIO, CON CORAGGIO

Ora, la Destra in Francia è un vero dedalo. Ai tempi di Gaxotte e di Fayard è la sovrapposizione di anime diverse, persino di “correnti” contrastanti. In essa confluiscono, un po’ alla rinfusa, orientamenti e ispirazioni anche molto distanti tra loro, dai monarchici legittimisti ai cosiddetti orleanisti, dagli eredi del bonapartismo e quelli dello spirito vandeano, dai cattolici fedeli al Soglio di Pietro ai positivisti conservatori convinti che la religione – il cattolicesimo – svolga una essenziale funzione sociale di reazione e di supporto all’ideale monarchico teorizzando però che non è necessario crederci davvero (Maurras fu uno di loro, ma non così tutta l’Action française). Una Destra, insomma, in cui convivono, pur se a fatica, una “vera Destra” e una “Sinistra della destra”, quest’ultima essendo la somma – direbbe il più importante pensatore contro-rivoluzionario del secolo XX, il brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) – di molte “false destre”.

Il vizio di fondo degli ambienti più discutibili - e talora francamente impresentabili – di quella galassia è del resto il nazionalismo, sovente smaccato, che, nonostante una certa retorica ivi diffusa, è ideologia tra le ideologie. Per questo, infatti, alcuni di quegli ambienti finiranno per guardare con favore e dunque per affiancare i movimenti nazionalistici europei dell’epoca, sfociati poi in movimenti e in regimi fascisti (o fascistici). Del resto, nel brodo di cultura da cui nasce il “mussolinismo” – prima ancora del vero e proprio fascismo italiano – vi sono cospicui ingredienti francesi, dal sindacalismo rivoluzionario di Georges Sorel (1847-1922) al cosiddetto “boulangismo” (dal nome del generale Georges Boulanger, 1837-1891), vale a dire il movimento di opposizione che ,tra il 1886 e il 1889, accarezzò l’idea del golpe nazionalista.

Gaxotte però no. Aveva idee più chiare. Nuotò in quel mondo, militò tra i maurassiani, partecipò alle attività editoriali di Fayard che fiancheggiavano la “rivoluzione nazionale” auspicata dal leader dell’Action française, diresse i due settimanali politico-letterari lanciati dall’amico Arthème – Candide e Je suis partout, quest’ultimo divenuto, dopo la “gestione Gaxotte”, persino antisemita -, eppure non vi annegò mai. Gaxotte è stato infatti uno di quegli uomini di cultura e di scienza che non hanno mai disdegnato l’impegno politico, né nascosto le proprie idee controcorrente, ma che di certi ambienti hanno più che altro cercato di servirsi: per fare del bene e per indirizzare, anche a costo del fallimento.

Non scordiamo, del resto, che il privilegio offerto dal riflettere su determinati fatti a distanza di tempo è negato a chi i fatti li vive quando essi accadono. E che se questo certamente non assolve mai dalle responsabilità personali, altrettanto certamente non carica gli uomini liberi degli errori commessi da altri, anche magari molto prossimi. Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) – per non citarne che uno – subì fortemente, all’inizio, il fascino del fascismo italiano; e suo cugino Arthur Kenneth Chesterton (1896-1973) fu invece smaccatamente fascista, antisemita e in collusione intellettuale con i nazisti. Per l’Action française di Maurras passarono comunque moltissimi intellettuali cattolici francesi certo non sospetti: il più noto di tutti fu il filosofo Jacques Maritain (1882-1973), che come molti altri poi se ne staccò, ma come scordare che in morte di Maurras tra i suoi laudatores figurò pure il Nobel T.S. Eliot (1888-1965)?

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Eliot Through His Letters, by Martin Lockerd.

Since the first volume of Eliot’s letters (1898–1922) appeared in 1988, scholars and enthusiasts waited impatiently for the Eliot estate to release a second volume. Though a British edition appeared in 2009, American readers were forced to wait still longer for the U.S. edition, which finally appeared in August of 2011. One benefit of the delayed arrival of the U.S. edition is that the letters themselves have already been reviewed by several prominent publications. Of course, this is a benefit chiefly in so far as it provides the opportunity for a much-needed corrective.

Anthony Julius’s piece for The Telegraph demonstrates the characteristic myopia of the reviews that sprang up in 2009. He finds little to like about the “distasteful” task of reading Eliot’s letters: “They tell us about the author, not about his writing. They are not an aid to understanding, certainly.” Though nearly every major critical work concerning Eliot’s verse makes useful reference to his correspondences, Julius finds them merely tedious. While this puts him in the company of those reviewers who regularly employ adjectives such as “painful” and “boring” when describing the reading process, it does him little credit. What is truly painful is the fact that many reviews of the letters fail to substantially address any but those letters directly quoted in the editors’ preface. The preface does give a well-constructed and succinct overview of the book’s contents, but many early reviewers cling to the overview and neglect the collection itself.

Julius does make one foray outside of the preface in order to bash Eliot as an anti-Semite, but he is so intent on grinding this worn-down axe that he overlooks the moments of true insight that leap up like a trout in the onrushing stream of the poet’s correspondence. The collection is admittedly awash with business mail that can be overwhelming. It is also, however, filled with truly poignant, interesting, and even funny moments that make the letters well worth reading. The exchange between Eliot and the writer/critic John Middleton Murry stands out as the most moving and emotional. Following the lead of the preface, many reviewers call attention to Eliot’s deeply confessional letters to Murry, which are filled with dark lines such as: “I have deliberately killed my senses—I have deliberately died—in order to go on with the outward form of living.” Eliot’s desperation grows as his wife’s mental and physical health languishes and deteriorates, and his fall into depression and despair evokes true pathos with seemingly little hope of catharsis.

Complete article in The University Bookman


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